Perché un’associazione come ITANPUD APS insieme al Collettivo Pleasure Unit, ITARdD , in collaborazione con il DULF solidarity committee e col supporto di AutAut 357
decide di fare un evento con l’obiettivo di fornire un sostegno economico al Drug user liberation front? Bene forse prima dovremmo chiarire, cosa è il DULF. Poi arriviamo al perché dall’Italia decidiamo di sostenere un associazione che è in Canada.
È vero, il DULF è in Canada, ma lo spirito che anima le loro azioni, così come il sistema a cui si oppone, è qualcosa di universale, valido tanto in Canada quanto in Italia e in ogni parte del mondo: è la piena consapevolezza, ormai supportata anche da una vastissima letteratura scientifica e tante esperienze concrete portate avanti in giro per il mondo (l’ottimismo della pratica, avrebbe detto Basaglia…) che il proibizionismo, in nome della tutela della salute, provoca invece enormi danni individuali e collettivi, sociali e sanitari. Che quella delle persone che usano sostanze, non è solo una lotta quotidiana contro la criminalizzazione, la repressione, per vedere rispettati quei diritti umani che spesso di fronte alla de-umanizzazione di chi consuma droghe diventano una bonaria concessione, quando va bene. È riconoscere che in un sistema costruito per toglierci voce, riconoscimento, titolarità delle nostre vite (e delle nostre competenze), l’autorganizzazione e il mutualismo -anche a livello internazionale- sono i migliori strumenti che abbiamo per costruire un’alternativa alla violenza strutturale del proibizionismo e non solo. E che questo ha a che fare anche con la nostra sopravvivenza, ben aldilà dei rischi connessi all’uso di sostanze. La liberazione che vogliamo tutti noi è dall’oppressione proibizionista, che comincia dalla proibizione e persecuzione del semplice consumo. Per quanto riguarda noi, come ITANPUD APS, abbiamo avuto, forse senza nemmeno accorgercene, una specie di ispirazione da DULF: il progetto “Eroina”, nato dal gruppo informale “ Dal Ponte” e che vuole essere una mappatura qualitativa della sostanza, mira a evitare i rischi che potrebbero essere causati dalla grave ripercussione sulla qualità dell’eroina, che ha avuto il divieto di coltivazione del papavero in Afghanistan, da parte dei Talebani che hanno preso il potere nel Paese. Ovviamente per noi si tratta di testare la sostanza, ma non di realizzare un club compassionevole, tantomeno una distribuzione controllata: il contesto è assolutamente diverso e non c’è qui da noi la motivazione di un “epidemia da oppioidi” che giustificherebbe il tentativo di controllare il mercato. Resta comunque, da parte nostra, l’assoluta convinzione che il modello di DULF avrebbe senso ovunque, ai fini di tutelare la salute, evitare rischi da tagli pericolosi, ed anche la costruzione di una cultura della consapevolezza.
Il Canada, ovviamente con le sue specificità territoriali, è colpito da quella che viene definita la “crisi delle overdose” o degli oppioidi. Una crisi che ha provocato quasi 17.000 morti nella sola provincia della Columbia Britannica, negli ultimi dieci anni.
Per fare il paragone, nel 2017 -appena all’inizio di uno dei più recenti picchi di morti per overdose, trainato dal fentanyl (anzi, per meglio dire, trainato dal fentanyl combinato con il sistema proibizionista)
In mezzo a questa crisi, con queste e molte altre consapevolezze (ed esperienza diretta) Nel giugno del 2020 -dopo un picco di 170 morti nella sola Columbia Britannica, in un mese- si riuniscono sotto la sigla DULF tante realtà simili alla nostra, ma anche singole persone, associazioni simpatizzanti: iniziano a distribuire a un prezzo puramente simbolico, per strada, a chi ne fa uso, oppio e cocaina analizzati in precedenza per verificarne la purezza, con la loro confezione predosata e un foglietto illustrativo su contenuto -verificato appunto, nei limiti del possibile, con gli strumenti del drug checking- rischi ed effetti ad accompagnarla
Il Canada registrò 61.000 morti per overdose (questa volta a livello nazionale), gli Stati Uniti poco più di 70. Nello stesso anno i morti per overdose in tutta Europa furono poco più di 8.000, di cui circa 200 in Italia. Tra le diverse, e in parte anche specifiche, ragioni che hanno provocato questa strage c’è una contaminazione trasversale delle sostanze (non solo degli oppiacei) con il fentanyl (anche se oggi il panorama si è ulteriormente complicato con l’arrivo dei nitazeni): un potentissimo oppiaceo di sintesi molto usato come taglio, di cui è sufficiente una dose molto ridotta per raggiungere l’overdose.
In mezzo a questa crisi, con queste e molte altre consapevolezze (ed esperienza diretta) Nel giugno del 2020 -dopo un picco di 170 morti nella sola Columbia Britannica, in un mese- si riuniscono sotto la sigla DULF tante realtà simili alla nostra, ma anche singole persone, associazioni simpatizzanti: iniziano a distribuire a un prezzo puramente simbolico, per strada, a chi ne fa uso, oppio e cocaina analizzati in precedenza per verificarne la purezza, con la loro confezione predosata e un foglietto illustrativo su contenuto -verificato appunto, nei limiti del possibile, con gli strumenti del drug checking- rischi ed effetti ad accompagnarla. Va tutto liscio, con molta partecipazione a prescindere dalla distribuzione in atto. Circa un anno, una pandemia e 1700 morti per overdose dopo, nel 2021, ripetono pubblicamente l’iniziativa: sotto lo striscione “Our pandemic has been ignored” si ripete l’operazione di community-led safe supply, supportata da analisi a nastro continuo con FTIR e questa volta pure l’appoggio (col senno di poi, più autoassolutorio e di facciata, che non sentito) delle autorità sanitarie locali. La polizia si presenta, ma solo per dirigere il traffico: terminata la distribuzione, inizia difatti un lungo corteo per Vancouver, con pause per testimonianze ed esibizioni. In sostanza, il DULF avvia un club compassionevole.
In una fanzine del 2022, intitolata “Community-led Compassion Clubs. The logical next step in harm reduction” il DULF espone la sua lettura del fenomeno in corso e quello che li ha portato a intraprendere queste azioni:
Di cosa si tratta? Alle persone che sono più esposte al rischio di overdose per vari fattori, ma non solo, viene data la possibilità di fare degli acquisti di sostanze la cui purezza è testata e la disponibilità stabile, oltre a un collegamento con vari servizi di supporto. La sostanza desiderata, fornita a seconda delle occasioni (eventi pubblici di protesta o funzionamento ordinario del compassion club) a prezzo di costo o gratuitamente, viene distribuita in una confezione che ne descrive contenuto, peso, composizione, rischi. Come con le sigarette. Di distribuzione in distribuzione (ma attraverso mille cose in realtà: lettere di sostegno da ogni dove, dal consiglio municipale -unanime- all’ente sanitario locale, partecipazione a bandi, eventi di distribuzione anche subito fuori una stazione di polizia) si arriva al programma “Dope on arrival” portato avanti a partire dal 2021 e fino al 2023, nella forma di una distribuzione gratuita finanziata da donazioni. Le analisi del prodotto distribuito vengono portate avanti con quattro tecniche diverse: risonanza magnetica nucleare, spettrometria FTIR e Raman, strip test. Lo scopo è continuare a fare pressione anche pubblicamente: il compassion club funziona -durante tutta la sua attività, nessun associat* è morto di overdose consumando sostanze fornite dal DULF- e il modello va riconosciuto ed esteso. Ma a fine anno si arriva invece all’arresto di Jeremy ed Eris, volti pubblici e tra i fondatori del DULF. E se oltre a quello ideale e politico, in questa vicenda c’è un filo conduttore, quello è certamente il drug checking, pratica che da noi in Italia sta con molta fatica facendosi spazio: la Regione Piemonte al momento è l’unica che per decreto la ha inclusa nelle azioni di riduzione del danno, in quanto strumento per la tutela della salute. Viene comunque portato avanti, oltre che da singol* consumator* e realtà autogestite, anche da alcuni progetti di rdd di altre regioni. DULF ha pubblicato due studi scientifici1-2 in cui ha dimostrato l’impatto positivo delle sue azioni: riduciamo all’osso, ma una sostanza per la quale prima di essere consumata viene verificata l’assenza di fentanili è una sostanza a ridotto rischio di overdose, soprattutto in un mercato in cui il caso contrario è la norma. Hanno praticamente messo a punto un sistema di mercato controllato. E a bilancio pari, non certo a scopo di lucro, motivo per cui -casomai ci fosse bisogno di ulteriore contesto- è ancora più evidente lo scopo politico e sociale di questo compassion club. Ma la polizia di Vancouver, con gli occhiali della legge e della repressione, ci ha visto un’organizzazione di narcotrafficanti.
E qui arriviamo all’oggi: il DULF, nelle persone di Jeremy ed Eris, è coinvolto in una complessa azione legale che chiede il riconoscimento dei club compassionevoli (acquisto regolamentato di sostanze che vengono analizzate prima di essere cedute) alla giustizia canadese. La stessa giustizia che dopo l’arresto di circa un anno fa, a maggio scorso ha formalizzato l’accusa di traffico di droghe, è contro accusata dagli imputati di star portando avanti un’azione incostituzionale (poiché non tutela il diritto alla salute), avendo privato migliaia di canadesi di una opzione più sicura di rifornimento per i propri usi. Tutto il mondo dell’impegno per una riforma delle politiche sulle droghe e per il protagonismo delle persone che usano droghe, è interessato a questa vicenda poiché rappresenta prima di tutto uno straordinario esempio di azione concreta supportata da elementi legali e scientifici che contrappone al proibizionismo una forma controllata del mercato di droghe, che mette la salute delle persone e la loro possibilità di autodeterminarsi al primo posto. Non solo: probabilmente, il vero affronto, lo scandalo inintegrabile agli occhi delle istituzioni che le ha infine spinte a questa decisione (anche perché come già detto, la loro attività è stata nota e rivendicata sin dall’inizio, quindi non c’era niente da scoprire, neanche dove ciò avvenisse fisicamente) è stato denunciare come la semplice fornitura di strumenti di rdd, l’implementazione di servizi di supporto, sia certamente utile, necessaria e da espandere, ma non certo l’obiettivo finale, forse più un palliativo. Quello che la comunità del DULF -compiendo tra l’altro un altro gesto scandaloso, ovvero quello di prendere parola senza aspettare che fosse qualcuno a “sponsorizzarli”, un altro membro rispettabile della società che si autoconferisse il titolo di caritatevole “avvocato dei tossici”- ha ricordato a tutta la Columbia Britannica e non solo, che mortifero è il proibizionismo, e che le persone che usano sostanze sono perfettamente in grado, quando non sono troppo impegnate a difendersi dalle violenze strutturali che le toccano o non ne restano vittime, di decidere per loro e di autotutelarsi, senza aspettare il permesso di nessuno. Per citare Malcolm X: Se mi infili un coltello nella schiena di nove pollici e lo tiri fuori di quindici, non c’è progresso. Se lo tiri fuori tutto, non è progresso. Il progresso è guarire la ferita che il colpo ha fatto. E non hanno nemmeno tirato fuori il coltello, figuriamoci guarire la ferita. Non vogliono nemmeno ammettere che il coltello è lì.