Karen Mamo
Karen Mamo è un attivista maltese che nel 2019 ha creato Harm Reduction Malta, la prima pagina di social media maltese sulla riduzione del danno. E’attiva nella sensibilizzazione sull’importanza del dialogo e di un approccio più inclusivo per promuovere la salute e il benessere delle persone che usano droghe (una presentazione più dettagliata di Karen la trovi alla fine di questo saggio)
Introduzione
Mentre la guerra del Vietnam falciava migliaia di vite innocenti, due diversi studiosi fra loro accademicamente non connessi, lavoravano ad idee rivoluzionarie nei loro rispettivi campi di ricerca. Operando in ambiti completamente distinti, l’educatore brasiliano Paulo Freire (1970) e Johan Galtung (1969), il fondatore dei peace studies, rintracciarono nelle strutture sociali differenti forze di contestazione ed un ambiente in cui gli oppressi sono costantemente ridotti al silenzio, marginalizzati e in cui ne vengono violati i diritti.
A partire dagli anni Ottanta e Novanta la advocacy e il paradigma partecipativo hanno denunziato l’approccio positivista che riproduce forze strutturali imposte, mentre ignora variabili politiche e sociali più vaste. Questo tipo di paradigma è stato identificato come fonte di ulteriore emarginazione dei gruppi vulnerabili e come strumento di perpetuazione di una cultura della discriminazione.
Identificando la discriminazione come una ricorrenza centrale nelle vite delle persone che consumano droghe (PUD) Newcomb (2016) spiega che questo fenomeno si sviluppa su due livelli, da un lato fra gruppi (tra utilizzatori e non utilizzatori) e dall’altro all’interno del gruppo stesso (tra persone che usano droghe in maniera differente, ad esempio tra i consumatori per via iniettiva e gli altri consumatori). Inoltre Newcomb identifica cause di discriminazione organizzativa che agiscono sia a livello internazionale che locale, come la giustizia criminale, che influisce direttamente sui diritti umani delle persone che usano droghe.
Pace positiva e pedagogia dell’umanità
Dalla prospettiva propria del campo di studi delle Relazioni Internazionali, Galtung (1969) descrive la violenza come pressioni fisiche o psicologiche (che includono il lavaggio del cervello e il plagio) che accrescono la distanza tra il possibile ed il reale o in termini più semplici tra quello che avrebbe potuto essere e ciò che realmente è. Facendo una distinzione tra violenza personale e strutturale, Galtung dimostra che la seconda è la più pervasiva e difficile da riferire ad un particolare agente. Infatti la violenza strutturale è connaturata alle strutture della società ed è visibile nella disparità delle relazioni di potere che si riflette nella disparità delle scelte e delle opportunità individuali. Portando l’esempio della morte di una persona a causa della tubercolosi, Galtung spiega che se fosse accaduto nel diciottesimo secolo non si sarebbe potuta classificare come una violenza, tuttavia considerando i progressi della medicina dell’ultimo secolo la spiegazione diventerebbe differente se la persona morisse oggi della stessa malattia. La violenza strutturale viene indicata come la causa di danni maggiori della violenza fisica ed insieme a società omertose e statiche contribuisce a naturalizzare la violenza. A partire dalla pace negativa passando quindi all’assenza di violenza personale e alla pace positiva e dunque all’assenza di violenza strutturale e all’attuazione della giustizia sociale, Galtung propone un approccio di ricerca che mira ad essere di contributo per la società e non un semplice esercizio analitico (Galtung, 1969).
In La Pedagogia degli Oppressi Freire (1970) parla di strumenti di disumanizzazione usati nella sottomissione estrema degli oppressi e della necessità di sostituire la paura e i miti con l’autonomia e la responsabilità. Attraverso una relazione dialettica fra oppresso e oppressore l’autore propone una transizione dalla pedagogia degli oppressi ad una pedagogia dell’umanità. Freire (1970) identifica l’oppressione come un atto violento in cui l’ “altro” è visto come un oggetto e viene alienato attraverso l’imposizione della cultura dell’oppressore che a sua volta etichetta il suo sé con
attributi negativi. Ne consegue che l’invasione culturale che si è fondata sul principio di una più elevata conoscenza e moralità dell’oppressore necessita di essere sostituita con una sintesi culturale in cui l’oppresso e l’oppressore collaborino solidalmente, attraverso l’umiltà e la fiducia, attraverso la celebrazione della diversità ed evitando di riprodurre l’ineguaglianza e l’oppressione tramite l’egemonia. Freire identifica l’educazione, più specificamente l’educazione co-intenzionale in opposizione alla concezione depositaria, come strumento di un atto di cognizione nel processo di riproduzione della conoscenza (Freire 1970).
Advocacy per la giustizia sociale e persone che consumano droghe (PUD)
In Supporting Social Justice Advocacy: A paradigm shift towards and ecological perspective supporting social justice advocacy, Greenleaf e Williams (2009) dimostrano che una prospettiva ecologica in cui il comportamento umano è spiegato all’interno della cornice della interazione tra persona e ambiente, è stata riconosciuta come un importante strumento per promuovere un approccio olistico al benessere specialmente per la salute mentale e l’equilibrio psicologico. Un modello ecologico riconosce che le interazioni a livello di microsistema (in famiglia, sul posto di lavoro), di mesosistema (interazione tra due microsistemi), di esosistema (sistemi che influenzano direttamente la persona come quello sanitario) e di macrosistema (regole, valori, e credenze
condivise) agiscono di concerto ostacolando o promuovendo il benessere. Attraverso la advocacy per la giustizia sociale in cui vengano identificati gli ordinamenti sociali oppressivi e l’interazione del ricercatore partecipante miri al risveglio della consapevolezza, il gruppo viene incoraggiato a contrastare l’oppressione imposta in forma di concezioni del sé distruttive fino a promuovere l’azione sociale ed il cambiamento dell’ambiente oppressivo (Greenleaf & Williams, 2009).
Un approccio di advocacy della giustizia sociale per i PUD è stato proposto dal Dr. Russell Newcombe in Intoxiphobia: discrimination toward people who use drugs. Newcombe (2016) propone una Carta dei Diritti per le Persone che usano Droghe e evidenzia diversi elementi chiave che influiscono direttamente sui diritti umani delle persone che usano droghe. Il ricercatore sottolinea l’importanza della terminologia e dunque della necessità di distinguere tra sostanze e
gruppi. Ad esempio, quando si parla di donne che usano eroina, questo dovrebbe essere fatto in maniera specifica e non riferendosi genericamente a donne che usano droghe.
Confrontando i diversi modelli che cercano di spiegare l’uso di droghe il ricercatore propone il seguente elenco:
1) Il Modello Morale: l’uso di droga è sbagliato e le persone che usano droghe soffrono di comportamenti patologicamente malsani che richiedono trattamento
2) Il Modello Criminale: l’uso di droga è un reato penale e le persone dovrebbero essere punite
3) Il Modello Psicosociale: l’uso di droga è l’espressione di un comportamento deviante e di metodi di compensazione disfunzionali, perciò andrebbe offerta educazione, prevenzione e strumenti di
Riduzione del Danno.
4) Il Modello dei consumatori-attivisti: l’uso di droga in condizioni regolate e legalizzate è accettabile e vengono sostenute misure per combattere lo stigma e la discriminazione
Seguendo i principi fondamentali del quarto modello e prendendo in considerazione le prove delle violazioni dei diritti umani delle persone che usano droghe, Newcombe (2016) elenca diverse forze
strutturali che ostacolano il benessere individuale sia in sul piano della Salute che su quello sociale. Fra le poche pratiche discriminatorie egli identifica gli ostacoli all’accesso al lavoro, all’educazione e ai servizi sanitari, i trattamenti farmaceutici obbligatori, i controlli delle urine e l’uso supervisionato dei farmaci.
Newcombe si rifà al pensiero di JS Mill, il diritto alla libertà dalla tirannia ed al controllo del proprio corpo, se alcun danno viene arrecato ad altri, costituisce la base fondamentale del diritto a drogarsi e da qui trae origine la Carta dei Diritti delle Persone che usano Droghe. La Carta include i diritti all’accesso sicuro alle droghe e agli strumenti necessari al consumo, la possibilità di condividere droghe e di scambiare informazioni sui metodi d’uso più sicuri, il diritto ad un sistema di giustizia penale che protegga invece di perseguire le persone non violente e servizi sanitari che siano non discriminatori e accoglienti. L’aspetto più importante è che la Carta include il diritto alla piena cittadinanza e all’inclusione sociale (Newcombe, 2016).
Conclusioni
Attingendo conoscenza da due differenti seppur interconnessi campi di ricerca, le Relazioni Internazionali e la Pedagogia, queste riflessioni hanno messo in evidenza l’importante ruolo
dell’advocacy per la giustizia sociale allo scopo di affrontare un fenomeno sociale complesso come l’uso di droghe. Nascendo alla fine degli anni Ottanta, l’approccio dell’advocacy della giustizia
sociale promuove il ruolo di un paradigma centrato sulla persona che miri ad identificare le ingiustizie e di risvegliare la coscienza del gruppo oppresso. L’obbiettivo fondamentale è la ricostruzione della dignità, l’emancipazione e la creazione di un mondo più giusto.Come identificato da Newcombe (2016), le PUD continueranno a fronteggiare pratiche istituzionali e altre pratiche sistemiche discriminatorie che ostacolano direttamente i loro diritti e il loro
benessere. Un modello Consumatore-attivista che, promuovendo una Carta dei Diritti delle PUD mentre sposa la teoria di Galtung (1969) sulla violenza strutturale e quella di Freire sulla natura
dialettica della pedagogia, colpisca direttamente la mentalità del “noi contro l’altro”, è stato riconosciuto come un importante strumento per sostenere la ricreazione co-intenzionale della
conoscenza e quindi avviare un cambiamento sociale positivo.
Ms Karen Mamo
Agosto 2022
Karen Mamo: ha conseguito un master of arts e un master of science in Mediterranean Security and conflict resolution, e una laurea con lode in lingua e letteratura italiana. Dopo aver conseguito un Master of science on addiction studies, presso Università di Malta, è stata una delle coautrici del documento sulla politica della società civile ” Un approccio di equità sociale per pratiche cooperative e sostenibili dal punto di vista ambientale all’interno delle associazioni di cannabis maltesi”
Bibliografia
Creswell, J. W. (2009). Research Design; qualitative, quantitative and mixed methods approaches.
California: SAGE Publications.
Freire, P. (1970). Pedagogy of the Oppressed. New York: The Continuum International Publishing
Group Inc.
Galtung, J. (1969). Violence, Peace and Peace Research. Journal of Peace Research, 6(No 3), 167-
191. Retrieved December 21, 2021, from http://www2.kobe-u.ac.jp/~alexroni/IPD%202015%20readings/IPD%202015_7/Galtung_Violence,%20Peace,%20and%20Peace%20Research.pdf
Greenleaf, A. T., & Williams , J. M. (2009). Supporting Social Justice Advocacy: A paradigm shift towards an ecological perspective. Journal for Social Action in Counselling & Psychology, 1-14.
Retrieved January 24, 2022, from https://openjournals.bsu.edu/jsacp/article/view/217
Newcombe, R. (2013). Intoxiphobia: discrimination toward people who use drugs. Liverpool: 3D
Research. Retrieved June, 2021 from
https://www.academia.edu/34558548/Intoxiphobia_discrimination_toward_people_who_use_drugs
Traduzione a cura di Christian Pizzimenti
link all’articolo originale: https://www.academia.edu/83998051/From_silence_to_empowerment_Reflections_on_positive_peace_a_pedagogy_of_humankind_and_the_rights_of_people_who_use_drugs