Mi scuso inanzitutto con le persone di cui vorrei, come presidente di ITANPUD, essere stato la voce. Con Erika per esempio che ha fatto un lungo vocale per dirmi, ancora una volta, quello che ci teneva dicessi, e con i tanti altri di noi con cui ci siamo confrontati “de visu” scambiati telefonate, mail, whattsapp. Vi chiedo scusa. E poi a tutto il resto della compagnia navigante: scusatemi, ho fatto affidamento a una linea wi fi instabile e una attrezzatura non proprio hi Tech.
Il lockdown è stata un occasione. E’ un occasione. Forse la partita è ancora aperta prima di dire che sia stata un occasione persa. Complessivamente gli interventi di chi ha condotto indagini, ricerche, gestisce o lavora (ricercatore, responsabile, coordinatore, operatore ) nei servizi , riportano un quadro vasto ampio variegato. Perché siamo un paese a forma di stivale, dove i servizi per le dipendenze ( ancora portano questo nome che già di per se non rispecchia il quadro di chi ci si rivolge e, sopratutto, chi potrebbe rivolgercisi) sono la risultante di menti più o meno legate a un determinato approccio alla realtà sociale ( basta chiamarlo fenomeno) dell’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti. Durante il lockdown , il primo il più audace , dove nessuno sapeva che fare e come fare, è arrivata la prima ondata di scoperte ( alcune ingenue : “i puscher mettono la mascherina” ma pensa te) di novità, di reazioni, di domande. Le risposte? Affatto uniformi. Si certo, in base alle possibilità, alle situazioni ognuno ha reagito come poteva. Le ricerche ITARDD e CNCA dicono tante cose: parlano di una reazione, parlano di una misura generale. Io dovrei provare, essere degno, di farmi voce anche per chi, in quella misura generale, nello standard, non è rientrato o non era ben visibile. Se è vero che ITANPUD vuole essere spazio di rivendicazione di diritti anche per chi non ha a che fare con i servizi, ma ugualmente vive una negazione di diritti a causa del proibizionismo, lo vuole e deve anche essere per Erika e i suoi amici della zona di Amalfi, dove durante il lockdown , come prima e adesso, le consegne terapeutiche le fanno solo a chi è accompagnato da un familiare, anche se ha 36 anni. E danno ancora il vecchio metadone, non il concentrato. E per porre limiti alle consegne non hanno fatto un decreto Regionale come a Terni, dove tutti i discorsi di oggi non arrivano , anche quelli lungimiranti di uno Stefano Vecchio che ha gli operatori pari ( quelli veri) nei servizi del suo distretto, ed Amalfi sta uno schioppo di fucile da Stefano , ma li certi discorsi appunto non arrivano. Certi linguaggi non si parlano. Se c’è qualcosa che unisce i servizi “evoluti” tra cui quelli dove i LEA parlano di drugchecking che adesso riesce a farsi anche se non ci sono le feste ( bella, tra i servizi del privato sociale, l’ iniziativa di Neutravel certo ma non siano i LEA la “conditio sine qua non” del DC ) e quelli del Lazio ( dove il drugchecking è rimasto nel cassetto della giunta regionale con il disperso provvedimento di giunta mozione n° 148 del maggio 2019 che parlava di un impegno a istituire “servizi di drugchecking”) ecco, dicevo, quello che unisce e accomuna i servizi sono i consumatori di sostanze, che nel Lazio neanche sanno dell’esistenza di quel provvedimento ( se non qualcuno tra cui una ragazza socia ITANPUD che con chi di quella mozione è stato primo firmatario andò a parlare cercando un confronto e un dialogo ) così come sono i consumatori, beneficiari dei servizi, che uniscono il drop in di Collegno ( chiuso in questi giorni) e gli altri drop in dove operatori e responsabili le hanno inventate di tutte per esserci e offrire servizi nonostante le ondate . Insomma onda su onda ci si bagna e si rimane fracichi a seconda di dove si sta. Ma, a proposito di covid, virus che interessa le vie respiratorie, i beneficiari che fumano crack o metanfetamine, usano la bottiglia : solo che se vanno in un drop in o un unità di strada che ha le pipette, uso personale, hanno uno strumento di riduzione del danno oggi più che mai utile, altrimenti no. Un servizio ha inventato dei “ bocchini da cannabis” pensando al Covid ad esempio. Quando, tra i requisiti dei servizi , ci sarà anche l’elenco degli strumenti da usare e quindi da mettere in conto nelle spese del servizio? Quando, ad esempio, parleremo di attrezzatura completa per la via iniettiva ? Comprensiva di scaldino, filtri, oltre che siringa e acqua? Ancora: chi fuma eroina trova competenze e strumenti adeguati al suo consumo? Sembra ci siano unità di strada che non hanno disponibilità di approvvigionamento di alcuni tipi di aghetti, per esempio. Ma insomma , covid o non covid, un servizio di alta o bassa soglia, e quindi i suoi beneficiari, sono alla mercè di chi quel servizio lo gestisce? Dov’è il punto di forza della questione? Il punto è solo uno: niente su si noi senza di noi, che nell’ambito dei consumi si sostanze è stato uno slogan caricato di significati ideologici, mentre, premesso che ideologia non è una parolaccia, è uno slogan che, prima di tutto nasce nel mondo della disabilità, ma soprattutto è uno slogan che parla di empowerment ma anche di funzionalità ad alto livello dei servizi , parla di “ patient engagment” se vogliamo stringerci alla sanità in maniera forte. Il patient engagment è una metodologia di cui ne hanno fatto un master universitario ( patient advocacy alla Cattolica ad esempio).Niente su di noi senza di noi parla di inclusione e cittadinanza, parla di lotta alla stigma. A proposito di “patient advocacy o engagment” Ora qualcuno potrebbe obiettare sul discorso degli users pazienti quindi malati: vi prego andiamo oltre. Le parole sono importanti ma non usiamole per farci lo sgambetto. Un servizio sociosanitario come il serd ha i pazienti? E vabene sarò un paziente ma con i miei diritti rispettati, in primis quello di essere parte del servizio a me rivolto. Non guardiamo per favore il dito che indica la luna: paziente o no parlo di beneficiari di servizi considerati parte integrante alla funzionalità del servizio stesso. La verità è che se la presenza significativa dei beneficiari all’interno dei servizi rivolti a chi usa e abusa di sostanze psicoattive verrà vista come uno spauracchio similsessantottino, replica Basagliana nel suo aspetto meno pragmatico e più nostalgico con tinteggiature romantiche, ecco allora sin quando i termini del ragionamento saranno questi la fatica sarà abnorme e forse, aimè, vana. Fin quando non si prenderà atto della reale immensa portata dell’avere, realmente, servizi rivolti alle PUD dove i beneficiari sono partecipi di un processo allora avremo sempre, questa disparità questa disomogeneità non determinata da contesti territoriali diversi dove beneficiari esprimono bisogni diversi, ma da responsabili di servizi, pubblici come del privato sociale, dove una serie di variabili legate solo a loro, renderanno più o meno vicino quel servizio alle reali necessità dei beneficiari. Una precisazione su Basaglia che amor mi impone : ben venga la nostalgia e l’alone romantico, ma andiamo oltre, facciamone gesto, usiamole per realmente abbattere un muro che spesso separa users e servizi . Credo che il grande traguardo meritato dalle tante professionalità che lavorano nei servizi pubblici o del privato sociale rivolti a chi usa e abusa di sostanze psicoattive sia proprio questo: una reale restituzione di potere, che significa ad esempio far evolvere il beneficiario del servizio di riduzione del danno da persona che scambia l’unità di strada per un gruppo di volontari animati dal buon Dio dei diseredati, a cittadino che si sa rapportare con un servizio pagato con danaro pubblico e a lui ( anche se per ragioni indirette) comunque dedicato, servizio di cui da beneficiario deve essere in grado anche di rispettare e comprendere difficoltà e limiti imposti da leggi e norme specifiche. Diciamolo con onestà intellettuale: durante il lockdown alcuni servizi avrebbero desiderato avere se non un operatore pari al proprio interno, sicuramente un supporter del servizio , un beneficiario in grado di fare da tramite tra i suoi pari magari non facilmente raggiungibili per via di lockdown e misure conseguenti. Chi lo aveva ha potuto gestire meglio alcune situazioni, far circolare informazioni, cosi come, ad esempio, gestire consegne “di gruppo”del materiale sterile o avere un contatto facilitato con situazioni critiche. . Avrei parlato anche di altre situazioni e citato altri esempi concreti di come a pagare il prezzo di un lockdown è stato ed è, tra un onda e un’altra, soprattutto chi è in territori ostili a qualunque apertura. Avrei parlato della straordinaria campagna di INPUD #PeerInThePandemic perchè la tematica del coinvolgimento dei beneficiari dei servizi ha interessato e interessa tutto il mondo e in tutto il mondo la pandemia ha dato spunti di riflessione in merito. Ma allungherei questa già lunga lettera abusando della vostra attenzione. Spero, se non nessuno, che in pochi abbiano scambiato queste parole per mera e sterile critica e dove parlo di evoluzione dei servizi , per utopia. Il sottotitolo di “ Nothing about us without us” ( niente su di noi senza di noi ) di Katrin Shiffer* è “Partecipazione e coinvolgimento delle persone che usano droghe nei servizi sanitari e nella definizione delle politiche” , come ITANPUD d’accordo con Katrin stiamo lavorando alla traduzione di quello che vorremmo offrire, magari con la partecipazione di ITARDD come “spunto di riflessione” per chi nei servizi lavora a vario titolo, ponendo l’accento soprattutto sulla parola “ coinvolgimento”: azione concreta che anche in caso di ondate darebbe modo a tutti quanti di essere più al riparo.
Alessio Guidotti
* . interessante di katrin Shiffer questa intervista ” su diritti globali” curata da Susanna Ronconi