La comunicazione, non solo quella "main stream", sulle questioni " drogacorrelate" è strutturata per cultura ad ignorare aspetti importanti che sarebbero necessari per una riflessione critica sulla questione delle politiche sulle droghe.
L'altro giorno ho avuto il piacere di partecipare a una formazione in ambito cannabis. Nello specifico sulla comunicazione che potrebbe essere fatta sulla cannabis con l'obiettivo di incentivare delle riflessioni critiche sulle attuali politiche. E' stato un confronto interessante. Nei giorni successivi ho pensato molto a quanto la comunicazione abbia sempre giocato un ruolo determinante nella percezione del fenomeno. Al di là della cannabis ovviamente. Tutta la comunicazione sulle droghe credo che se studiata con competenze specifiche evidenzierebbe percentuali interessanti relative ai vari aspetti del fenomeno: la repressione, la riduzione del danno, la cura, la riabilitazione. Intendo cioè che uno studio fatto con competenza evidenzierebbe percentuali diverse di spazio dedicato dai media su ogni specifico aspetto. Ma non solo dai media: sarebbe interessante fare questa analisi di come si comunica, in tutti gli ambiti, sulle questioni delle droghe.

Inoltre credo che, aldilà di uno studio vero e proprio, una specifica modalità narrativa non sia affatto difficile da riuscire a caratterizzare, individuarne cioè le caratteristiche di "come" si parla di droghe nelle diverse sfaccettature del fenomeno. Anche a livello di immagine è possibile individuare una scenografia ricorrente. A questo proposito voglio dire che a me sono sempre risultate buffe le immagini delle operazioni antidroga che ne descrivono l'epilogo. La tipica immagine delle forze dell'ordine, fieramente raccolte intorno al bottino di guerra. Premesso che mi fanno sorridere ma poi penso al dramma che nascondono quelle immagini e allora, finito l'effetto comico, sono immagini che se osservate con spirito critico raccontano molto.
Raccontano, ad esempio, di una narrazione prevalente che sul fenomeno delle droghe si continua a voler far essere quella di una lotta tra il bene e il male, dove sono ben scissi i confini tra le parti in gioco e dove tutto è ben chiaro riguardo a come stanno le cose. In particolare, ad esempio, è curioso osservare come la faccenda economica sia, per cultura, per tradizione in ossequio a una narrazione proibizionista, rivolta sempre e soltanto ai soldi del narcotraffico. C'è tutta una specifica modalità narrativa a livello cinematografico ad esempio in cui il denaro proveniente dal traffico di droga viene favoleggiato, ne viene rimarcato l'abnorme flusso nelle tasche dei superboss. Insomma dai tempi di "Scarface" ad oggi certo il cinema è cambiato ma spesso i "narcodollari" continuano ad essere raccontati in un modo che a me non sembra porti a sufficienza il carico di complessità che realmente li caratterizza. Forse certi miti, illusioni, luoghi comuni, sono alimentati da narrazioni "main stream" affatto obiettive e concrete. Quando però dal cinema si passa alla cronaca, alle notizie,all'informazione, allora comincia ad essere preoccupante si faccia ancora riferimento al sensazionalismo piuttosto che l'evidenza dei fatti. Giornalisti che descrivono fatti di cronaca dove i protagonisti non sono affatto i geni del crimine che si vuol fare apparire, giornalisti che spesso sembrano più ispirati da scenografie di cinema "noir" che dal voler riportare vicende umane che si intrecciano con questioni giudiziarie.
Insomma non è affatto difficile vedere come tutta la comunicazione sulle droghe e fenomeni correlati abbia un impronta ben precisa: definirla sotto la sigla di "comunicazione proibizionista" forse è riduttivo ma di certo la cultura proibizionista ha molto a che vedere con il modo in cui noi parliamo di droghe. E non mi riferisco solo alla stampa e ai media. Credo che quando mettiamo alcune parole in un motore di ricerca come Google i numeri che fanno rifermento ai "risultati" trovati sia indicativo se non di come, certamente di quanto un determinato argomento è affrontato, discusso, riportato, di quanto insomma si parli di determinate cose. Provate a digitare le parole guerra alla droga su Google e poi digitate " costi della guerra alla droga" se volete farlo in una dimensione più ampia digitatelo in inglese. La differenza di risultati è impressionante. Che vuol dire? Non credo serva fare questa prova per rendersi conto che, ad esempio rispetto ai narcodollari, dei costi della guerra alla droga, non si parli abbastanza.
Quando diciamo di voler cambiare le cose delle politiche sulle droghe, sulla cultura delle droghe, quando ci diciamo antiproibizionisti, allora dovremmo pensare che un cambiamento può avvenire solo se molteplici fattori si orientano in quella direzione. L'informazione è certamente una di questi. Le tematiche relative al fallimento della guerra alla droga dovrebbero essere un argomento che assume maggiore priorità. Forse nel 2020 fare informazione critica sul fenomeno delle droghe, parlare di droghe in modo obiettivo vuol dire parlare delle cose di cui ..si parla meno. Certamente un cambiamento delle politiche deve necessariamente avvenire attraverso la cultura e se vogliamo che la cultura, di matrice proibizionista, non sia la zavorra allo sviluppo di conoscenza e consapevolezza sociale allora dobbiamo essere obiettivi e responsabili: si responsabili perchè quando si ha a che fare con leggi sulle droghe criminogene, adoperarsi per il loro cambiamento è una questione di responsabilità.
Alcune questioni poco presenti nel dibattito : utilizzo delle sostanze in ambito terapeutico, costi e questioni della guerra alla droga
L'utilizzo delle sostanze psicotrope in ambito terapeutico spesso si riduce al titolo, nel senso che si, sappiamo in modo superficiale e confuso dell'utilizzo dell' MDMA , ad esempio, in ambito psicoterapeutico. E' riportato in qualche flyer di quelli che i servizi che fanno informazione sulle sostanze distribuiscono ai giovani? Oppure: in che termini si riflette su come parlare del fallimento della guerra alla droga ad esempio in un progetto di riduzione del rischio? Può essere questo tipo di informazione contestualizzata in un ottica di informazione sulle sostanze? Credo che l'assenza nella comunicazione di alcuni argomenti sia indicativa della qualità del nostro dibattito sulle droghe. e forse oggi, nel 2020, dove le informazioni di base sui rischi legati all'uso di sostanze, si trovano ovunque e sono patrimonio comune, costruire consapevolezza e far crescere la qualità del dibattito sulle droghe anche con i più giovani potrebbe significare riflettere su come in che modo introdurre determinate conoscenze, come arricchire un dibattito che non si può più limitare a rischio più vs rischio meno, legalizzazione vs non legalizzazione. Dobbiamo trattare maggiormente quegli argomenti che possono costituire un patrimonio culturale per una nuova narrazione sul fatto sociale dell'uso e l'abuso delle droghe. Credo che sia necessario, ad esempio, familiarizzare di più su alcune tematiche specifiche come l'uso terapeutico di alcune sostanze e la realtà del fallimento della guerra alla droga, ma sopratutto applicarsi per veicolarle a più ampie platee o insomma far si che siano argomenti non riservati a nicchie intellettuali o specialisti del settore.

Forse tutti coloro che a vario titolo si occupano di quel fatto sociale che è il consumo di sostanze stupefacenti dovrebbero porre maggiore attenzione a quanto e in che modo, spesso inconsapevole, si faccia una narrazione fortemente caratterizzata da una matrice proibizionista. Credo cioè che non sia assurdo ipotizzare che se auspichiamo a un cambio della cultura e politiche sulle droghe è anche e sopratutto sulle credibilità che il proibizionismo riesce ancora ad ottenere che dobbiamo far leva. Insomma o ci si crede veramente che le attuali politiche sulle droghe siano il danno correlato delle stesse droghe oppure non ci si crede. Ma se ci crede si deve parlarne e far si che la questo come altri argomenti specifici diventi parte della comunicazione sulle questioni delle droghe. Non credo, personalmente che oggi si possa fare educazione, prevenzione, riduzione del rischio senza apportare in maniera strutturata e affatto ideologica, elementi critici nel dibattito, spesso troppo statico, sulle droghe. Prendiamo ad esempio lo straordinario lavoro del Libro Bianco : le analisi sull'impatto sociale della legge sulle droghe che Forum Droghe fa ormai da nove anni dovrebbero a mio avviso essere condivise, discusse, argomentate più di quanto lo siano attualmente, sopratutto non dovrebbero essere argomenti riservati a specialisti del settore, ma veramente dovrebbero essere patrimonio culturale collettivo che andrebbe trovato modo di rendere fruibile tra i giovani e gli adulti e non solo tra gli addetti ai lavori. Credo che oggi capire in che modo nella comunicazione sulle droghe, a vari livelli, si racconti il proibizionismo senza parlare dei suoi fallimenti sia determinante per apportare quel cambiamento che auspichiamo. E sia chiaro: non si tratta di un cambiamento che può essere spacciato per "ideologia antiproibizionista": nel 2020 abbiamo tutte le buone ragioni per far si che le argomentazioni che trovano dibattito in sede ONU si possano declinare in una comunicazione nuova che cioè tenga in maggiore considerazione il dichiarato fallimento della war on drugs ma sopratutto la inadeguatezza di tutte quegli approcci al fenomeno che, quasi inconsapevolmente, hanno proprio nella war on drugs un riferimento. Si tratta insomma di accettare i paradossi che si sono creati, ad esempio quelli di una riduzione del danno, che pur nel suo aspetto più prettamente socio-sanitario o riconosce il danno causato dalle politiche sulle droghe oppure volendole ignorare finisce per essere quel paradosso che, Philipe Bourgoise descrive in diversi suoi lavori alcuni riportati in Social science of syringe di Nicole Vitellone. Si tratta in pratica di una riduzione del danno " non più radicale" ovvero che non vede la vera radice del problema droga, contrariamente a chi la riduzione del danno la teorizzava in un modello che " encourages consideration of human rights and civil liberties as areas in which harms can be reduced. This pertains not only to users but also to the broader violations of the rights of all citizens in the name of ‘war on drugs’. (Erickson et al., 1997,p.10 ). Inoltre se la riduzione del danno e la bassa soglia si caratterizzano per " incontrare le persone dove sono " allora incontrare chi consuma le droghe e individuare i danni da ridurre vuol dire necessariamente svolgere un lavoro dinamico, di continua ricerca e trasformazione che inevitabilmente si riflette sulle pratiche e subisce nelle stesse pratiche la mancanza di una "libertà di pensiero riduzionista" che va dritto a individuare dove e in che modo sta il danno e come lo si può ridurre.
Ridurre la pratiche invece di ridurre il danno: l'esempio del drug checking
In un ottica radicale di riduzione del danno, che ripeto vede e individua la radice del problema "droga" la ricerca e la analizza contestualizzandola al tempo e al luogo in cui si manifesta, utilizzando gli strumenti disponibili, credo che in quest'ottica il drug checking sia lo strumento che più dovrebbe essere diffuso e utilizzato. Non è cosi. Ad oggi solo i cittadini italiani di alcune province possono accedere a servizi rdd provvisti di drug checking per tutelare la propria salute, cioè Torino, Bologna, Bergamo, Perugia, Firenze, Genova , mentre il Piemonte è l'unica regione che ha una delibera regionale dove sono elencate le pratiche dei livelli minimi di assistenza inclusi come riduzione del danno: tra queste, oltre lo scambio siringhe, la consulenza alla persona e altre azioni di RDD c'è il drug checking. Il drug checking è un'ovvietà: individua il rischio di ciò che sto assumendo perchè con diverse metodologie vedo da cosa è composto. La data da cui questa pratica è disponibile in altri paesi europei fa impallidire: non era nemmeno il duemila che già Olanda, Svizzera, Austria, Spagna, Francia era disponibile un servizio mobile davanti locali e luoghi di festa ( rave ecc). In Italia la storia del drug checking l'ha tracciata Lab 57(Bologna), realtà costituita da consumatori formati professionalmente e che a loro volta hanno formato altri operatori di servizi di rdd e rdr ( riduzione del danno e del rischio) che con audacia e lungimiranza hanno superato timori e stigma di varia natura per diffondere e fare strada a una pratica di indiscutibile efficacia in un ottica di tutela della salute, iniziando nel lontano 1998 col test Colorimetrico in un progetto rdd poi finanziato da Regione e Asl dal 1999 al 2001. La svolta arriva in Italia nel 2015 col progetto Goodnight di Bergamo, finanziato da un bando europeo su base regionale, e con il progetto Baonps nel 2016, che disponendo di risorse europee destigmatizza agli occhi dei più ostici il drug checking e se pur con non poche resistenze ne permette un evoluzione riproponendola come pratica e dandole una veste di pratica sociosanitaria e legale che, erroneamente veniva disconosciuta al Lab 57 . Resta di fatto che oggi in tutta Italia la pratica più presto"sincera" ( in soldoni: prendi la droga e vedi cosa c'è dentro) è appannaggio di pochi : solo un servizio, quello che ha condotto Baonps in Italia e che si occupa di divertimento notturno in Piemonte ( Progetto Neutravel) dispone della tecnologia Raman mentre ancora pochi servizi in tutta Italia dispongono del colorimetrico, avendo utilizzato, la maggior parte, la formazione professionale di Lab 57, e sempre troppo pochi sono in Italia i laboratori tossicologico-forensi che decidono di testare con gas massa i campioni dubbi, mentre in molti Paesi in Europa e Nordamerica si utilizzano da diversi anni tecniche molto meno costose della gas - cromatografia ( mezzo milione di euro) come la HPLC-v ( 30000-50000 euro) e soprattutto la nuova FTIR, Fourier Transform Infra-Red Spectrometry (20000 euro)la migliore per costi benefici, già usata da The Loop (Gran Bretagna, partner di Baonps), Ankors (Canada) e Dance Safe ( Usa).Un quadro nazionale decisamente insufficiente.Come Itanpud ci siamo occupati della tragicomica vicenda del Lazio dove una mozione ( la n° 148 del 13/05/2019) approvata all'unanimità dalla giunta Regionale ma finita nel dimenticatoio è stato l'unico blando tentativo, dimostratosi più mossa politica di interesse che reale interessamento al problema, di creare un sistema per analizzare le sostanze e quindi tutelare la salute di chi le assume. Insomma se la riduzione del danno invece di ridurre il danno riduce le pratiche per individuarlo un problema c'è ed è nell'approccio alla questione droghe . Credo si tratti di quello che dice Bourgoise " Lo stigma proibizionista imperiale sull'uso di droghe" che ha colonizzato gli studi e gli approcci alle questioni "droga correlate" ed inevitabilmente costituisce una pesante zavorra per un evoluzione culturale in merito al fatto sociale dell'uso e l'abuso di sostanze.
.
Non è ideologia ma pratica necessaria
Parlare dei costi inutili della guerra alla droga e del suo fallimento è ideologia o riduzione del rischio e del danno? Auspicare una crescita sociale del pensiero critico sul consumo di droghe credo sia un obiettivo da raggiungere unendo sforzi e pianificando azioni comuni che sono di competenza tanto dei servizi che di chi fa advocacy. Ma sopratutto il pieno coinvolgimento dei consumatori, di chi cioè viene continuamente bersagliato da stigma, leggi punitive e cultura criminalizzante: Parlare di diritti umani, stigma, non è ideologia, credo che il grande errore sia questo; il drug checking è una pratica sociosanitaria non un attività alternativa intrisa di ideologia antiproibizionista , confondere pratiche necessarie con ideologia è il più grande errore che si possa fare, bisogna anzi riappropriasi di uno spazio colonizzato dal proibizionismo uno spazio dove si incontrano pratiche sociosanitarie empowerment , riappropriazione di identità da parte della persone che usano droghe ( non "tossici" o " malati di droga"); insomma parlare dei costi della guerra alla droga ad esempio non può essere considerato un intervento avulso da una riduzione dei rischi e del danno. Più rendiamo appannaggio del potere medico la riduzione del danno e in generale l'approccio alla questione droghe, più finiamo per parlare un linguaggio proibizionista che è solo un inutile zavorra e che ha dimostrato il suo tragico fallimento. Continuare ad alimentare quel fallimento è un atto scellerato, nemico della salute pubblica e della difesa e tutela dei diritti umani.
Alessio Guidotti