Riflessioni dopo una formazione tra pari: agire l’antiproibizionismo è riappropriarsi di ciò che ci viene sottratto dalla cultura della punizione e dal paradosso del ” curare punendo”
Lunedi 30 Maggio abbiamo svolto una formazione tra pari sull’uso sicuro. “Trasforma la tua esperienza in risorsa” è stato uno dei nomi che abbiamo dato a questa formazione. Eravamo a Roma, al Tufello, quartiere storicamente noto per lo spaccio e l’uso di eroina negli anni 80/90. Una delle realtà che per prime hanno portato la riduzione del danno in Italia, nello specifico a Roma e nel Lazio, Parsec ha ancora oggi proprio al Tufello, non lontano da dove si è tenuta la formazione, il suo drop in e la base operativa dell’unità di strada. E’ stata una giornata particolare per tutti noi, ed è stata veramente una formazione tra pari. Noi che la formazione l’abbiamo condotta, abbiamo un’esperienza diretta riguardo quello che è stato argomentato. E a volerla dire tutta, proprio il Tufello è stato uno dei palcoscenici su cui le nostre storie, oltre venti anni fa, si sono incontrate con tante altre storie, vicende umane, persone. La giornata è iniziata con meno ritardo di quello che pensavamo. E’ stato bellissimo conoscere Anas, che è venuto da Brescia, insieme all’operatore dell’unità di strada, Bergamo unità di strada, che lo ha supportato a raggiungerci nella Capitale. Le unità di strada, Force della Coop Folias e il Cammino, e L’unità di strada e il drop in Scarpanto della Coop Parsec, hanno diffuso l’iniziativa e l’hanno proposta ai loro beneficiari. Per dare una forma simbolica di riconoscimento dell’impegno da mettere nella formazione, consapevoli che spesso in alcune condizioni si deve gestire il tempo in base a necessità improrogabili, abbiamo riconosciuto un gettone di presenza di 20€. Sono dell’idea che la condizione di minoranza e marginalità, la forte condizione di subalternità che vivono le persone che hanno specifiche modalità di consumo, abbia un suo determinante specifico che sta proprio nel sistema sociale. Purtroppo sta anche in quello della cura, spesso inconsapevolmente, ma ci sta. Quindi se grazie a una serie di dinamiche costruttive, le persone che noi come ITANPUD APS vediamo vittime del proibizionismo, possono ricevere una formazione e anche un gettone di presenza, pensiamo sia giusto e che sia il minimo: quando si può fare, ben venga il gettone di presenza. Le dinamiche costruttive si possono attivare. Le realtà della bassa soglia che abbiamo menzionato, hanno contribuito a individuare le persone con un consumo attivo che partecipassero alla formazione. Euronpud ci ha dato il supporto necessario per poter concretamente realizzare la giornata, cosi come il materiale didattico.
Il primo riscontro positivo lo abbiamo avuto nel momento in cui era palpabile nell’aria, stessimo tutti vivendo la sensazione di una condivisione libera, senza sentirsi giudicati
C’è qualcosa nell’aver condiviso e vissuto o nel condividere e vivere, alcune esperienze che ha di per se un potenziale straordinario. Ogni volta che riusciamo a declinare in azioni concrete collettive il niente su di noi senza di noi, a livello emotivo si attiva qualcosa che sentiamo farci bene. Ci fa bene cioè sentire il potenziale che ha essere protagonisti attivi di spazi e tempo che, dobbimo dirlo chiaramente, ci sono stati sottratti. Si sottratti. La nostra voce è stata ed è culturalmente repressa. Non siamo abituati a prenderci ed avere spazi per esprimerci come soggetti e come comunità. Forse ai nostri occhi, più abituati e guardare le tante sfaccettature della nostra comunità, alcuni dettagli fanno un effetto particolare. Allora potremmo descrivere di come Luigino ha condiviso del suo problema di salute, che fino a pochi minuti prima veniva argomentato con delle slide “scientifiche”. Potremmo elencare i momenti in cui, la sensazione liberatoria di potersi esprimere per come si è, rendeva dignità a chi, fuori da quello spazio, vive schiacciato da uno stigma pesante come un macigno. Io rimango affascinato da come, superati imbarazzi e resistenze alla relazione, comuni ad ogni contesto, si sia creata una condivisione prima di tutto della propria identità. Potersi mostrare per come si è, senza doversi quasi giustificare della propria esistenza ( e credetemi a volte nei servizi sembra percepire qualcosa di simile ) è qualcosa che ha a che fare con la cura, o forse con la dignità della persona. Vedere la nostra comunità, intesa come gruppo di pari, gruppo di persone che condividono un’esperienza, costituita da persone a cui è stato e viene sottratto qualcosa, può sembreare eccessivo. Noi che non diamo più per scontato, per ovvio e “naturale”, che si possa essere puniti per lo stesso motivo per cui si è destinatari di servizi di cura, noi che sappiamo la punizione essere non solo quella delle sanzioni amministrative, ma venire giudicati, condannati ed emarginati, ecco noi che di questa storia della dipendenze e del consumo di droghe, vediamo i tanti paradossi e contraddizioni, che ne vediamo il terreno fertile per interessi di ogni tipo, vediamo in giornate come quella del 30 Giugno l’inizio di qualcosa di realmente diverso e innovativo. Vediamo la possibilità di ristabilire i termini di un discorso che, per ragioni ben precise, oltre ad essersi adagiato su concetti oramai sterili ha reso mute le nostre voci. Chi ci riduce a begli esemplari dei servizi di cura che eroga, beneficiari delle psicoattività, le qualunque attività che se fatte da un gruppo di “tossicodipendenti” sono attività terapeutiche di alto livello ( fosse anche la caccia al tesoro o un banale disegno), ecco insomma chi ci usa dovrebbe capire che è solo una questione di tempo. Come molti di noi, anche i cittadini, insomma la società tutta capirà che rendere difficile la vita a chi già ha dei problemi è qualcosa che lede la dignità, i diritti umani, la nostra Costituzione: il proibizionismo fa questo. Chi sulla cura delle dipendenze ha centrato la sua professione, si pregia di essere “comunità scientifica” dovrebbe riflettere che non pronunciarsi sui danni del proibizionismo è un modo di piegare la scienza alla volontà politica. Le nostre vite, spesso complesse e fragili, sono solo aggravate negativamente da una legge che punisce, una società che condanna, e un sistema che troppo facilmente permette, a chi vuole mangiare sulla nostra pelle, di farlo senza troppe difficoltà. Il lavoro non retribuito nelle comunità terapeutiche, ad esempio, chi controlla non sia usato da qualcuno come sfruttamento? La verità è che la cultura dominante ci condanna. C’è un paradosso gigantesco nel pretendere di curare qualcuno senza realmente occuparsi di tutto ciò che rende la sua condizione, spesso critica, fragile svantaggiata, ancor di più difficile. In quest’ottica, il silenzio della comunità scientifica sulla criminalizzazione del consumo, è a dir poco imbarazzante. Punire significa escludere, punire con misure che limitano e negano libertà individuali, diritti civili, significa condannare a un’oblio sociale: in che modo il termine “cura” si inserisce in un quadro simile di repressione e deprivazione? Come è possibile pensare che il Governo, con un provvediamento antiscientifico per eccellenza, rendendo droga ciò che droga non è, il cbd, abbia di fatto reso punibili delle persone, cittadini, che potranno subire danni e vedere peggiorare la propria qualità della vita?
per consumare qualcosa che droga non è !!! la comunità scientifica che si occupa di dipendenze non si è pronunciata su questo ennesimo gesto arrogante e violento. La repressione, la punizione, i paradossi che viviamo quotidianamente, ci escludono e portano a rendere anonima una parte della nostra identità. Per questo motivo ogni iniziativa che ci restituisce protagonismo e occasione di esprimerci, dovrebbe essere agevolata, favorita, accolta, riconosciuta come forma di riappropriazione di qualcosa che ci è stato sottratto.